Da qualche giorno si sente spesso parlare, sia attraverso i “media” quanto attraverso le dichiarazioni di alcuni rappresentanti delle Istituzioni nazionali, della creazione di un’applicazione (la c.d. App Immuni) che dovrebbe essere in grado di ricostruire, una volta individuata una persona contagiata da Covid-19, gli incontri avuti precedentemente dalla stessa per rintracciare le persone che può avere a sua volta infettato.
La conferma è arrivata da più parti e ne hanno parlato anche il commissario Arcuri, Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento ed il contrasto all’emergenza epidemiologica COVID-19, nonché il Presidente del Consiglio dei Ministri Conte. Lo dichiarano Vincenzo Vinciullo e Sebastiano Moncada.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, martedì 21 aprile, nel corso della sua relazione alle Camere, ha tenuto a specificare alcuni aspetti: – non sarà obbligatorio scaricare l’App; – il sistema per essere efficace deve essere scaricato da oltre la metà della popolazione (almeno il 60%); – chi deciderà di non scaricarla non subirà alcuna limitazione alla possibilità di spostamento.
Sorgono, però, alcuni dubbi legittimi fra i quali vanno ricordati:
tale App garantirà il rispetto del diritto alla privacy? Vi sarà sul punto una disciplina legislativa approvata dal Parlamento? Da chi saranno gestiti i dati sensibili raccolti?
Queste perplessità sono state espresse non solo, in maniera trasversale, da tutte le componenti politiche sia di maggioranza che di opposizione, quanto anche dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR).
Per poter accettare, senza difficoltà, questo sistema di controllo sanitario dei cittadini, è opportuno, nonché indispensabile ed imprescindibile, che: 1) tale applicazione garantisca il rispetto del diritto alla privacy di ciascun individuo che scelga, volontariamente, di scaricarla e quindi di avvalersene; 2) il Parlamento deve emanare una norma legislativa ad hoc sul funzionamento dell’applicazione; 3) i dati sensibili raccolti vengano gestiti direttamente dalla Presidenza della Repubblica e non da società privata (così come sembrerebbe paventarsi); che i dati non escano dal territorio nazionale.
Riteniamo, hanno concluso Vinciullo e Moncada, che in questo momento l’esigenza di risolvere l’emergenza sanitaria, dovuta alla diffusione pandemica del c.d. coronavirus, debba, comunque, essere contemperata con il diritto alla privacy di ciascun cittadino.