Il presidente della Provincia Regionale on. Nicola Bono ha rotto il riserbo ed il silenzio che avevano accompagnato l’attentato incendiario subito lo scorso 21 febbraio e, stamane, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha chiarito molti aspetti della vicenda che non erano stati resi pubblici.
Ecco le dichiarazioni del presidente Bono: “Lo scorso 21 febbraio ho subito un attentato che ha provocato in me incertezza e dubbi, in quanto, non avevo subito né minacce, né richieste di tipo intimidatorio. Un fatto incredibile per un politico che come me, da 40 anni, polemizza e contesta puntualmente qualsiasi azione che ritiene sbagliata o dannosa per la collettività. Ho quindi sperato che venisse individuato il responsabile, oppure i responsabili, anche per capire le motivazioni che avevano provocato quest’atto intimidatorio. Oggi posso affermare, per la seconda volta in pochi mesi, che il sistema funziona e sento il dovere di ringraziare il sostituto procuratore dottore Antonio Nicastro che ha coordinato le indagini e le forze dell’ordine, in particolare il dirigente del commissariato della Polizia di Stato di Avola, il vice questore aggiunto dottore Marcello Castello e quanti hanno contribuito a risolvere il caso che mi riguardava.
Non conosco il Garofalo, del resto, come potrei conoscere tutti i 581 dipendenti della Provincia. Nei mesi scorsi dei parenti del Garofalo hanno avanzato richiesta di fare tornare a lavoro il Garofalo in attesa che fosse definito il procedimenti giudiziario per assenteismo che lo riguarda. Non ritenevo che ciò fosse possibile, perché sarei andato contro i miei principi di assoluto rispetto della legge. Inoltre, altri quattro dipendenti della Provincia Regionale si trovano nella stessa situazione del Garofalo, anche se si tratta di altra tipologia di reati. Se io avessi revocato la sospensione dal lavoro per Garofalo, per par condicio, avrei dovuto farlo anche per gli altri. Avrei quindi trasformato la Provincia Regionale in un Ente da Paese dei Campanelli, non solo, non sarei stato rispettoso nei confronti di un’Istituzione che invece merita rispetto, lo stesso che merita la stragrande maggioranza dei dipendenti che lavorano seriamente e correttamente. Tuttavia, sono a conoscenza che il Garofalo, purtroppo, è stato gravemente punito dalla vita, e, per tale motivo, ho deciso di perdonarlo. Non intendo quindi costituirmi parte civile e non chiederò quindi il risarcimento di alcun danno.
L’attentato che ho subito non mi ha intimidito, ma mi ha confermato un’amara verità, e cioè che pretendere il rispetto della legalità comporta spesso il pagamento di un prezzo. Purtroppo la legalità è spesso oltraggiata poiché tutto viene subordinato all’interesse personale piuttosto che a quello del bene pubblico. Mi sono opposto e mi opporrò sempre a quest’andazzo, anzi, mi auguro che la parte sana, cioè la stragrande maggioranza dei cittadini, reagisca a questa situazione capovolgendola. Devo però sottolineare che è la seconda volta che vengo colpito perché difendo la legalità, oggi col fuoco , due anni fa con la calunnia. Se perdono Garofalo, tuttavia non perdono coloro che mi hanno calunniato, facendomi trascorrere due anni sotto indagine, anzi, sono convinto che debbano rendere conto dei loro atti alla Giustizia. Le cronache dei giornali di questi giorni, peraltro, hanno dipinto scenari persino più foschi di quelli che si potevano immaginare, così che l’inchiesta “Oro blu” partita da quelle calunnie, sembra inserita in un contesto ben più ampio. Per questo, ancora una volta, ribadisco che nel sistema ci può essere qualche falla, ma che nel complesso funziona. Continuerò nel mio impegno a difesa della legalità e a tutela dell’interesse comune”.