Riceviamo e pubblichiamo
La grave crisi del tessuto economico e sociale italiano, con conseguenti drammatici effetti sui livelli occupazionali del Paese, ha assunto, negli ultimi anni, una rilevanza centrale all’interno del dibattito politico in materia di tutele dei diritti dei lavoratori.
La pratica di delocalizzazioni o di chiusure guidate delle imprese si è ulteriormente diffusa a seguito della pandemia Covid-19 che ha colpito anche l’Italia producendo gravi conseguenze negative sui moltissimi settori produttivi e comportando, altresì, significative ricadute in termini economici, occupazionali e sociali che rischiano di ipotecare pesantemente il futuro industriale e produttivo del nostro Paese.
I motivi che spingono alla delocalizzazione sono incentrati sul taglio dei costi o per aumentare i profitti. Si trasferisce la produzione di intere filiere, spesso dopo aver usufruito di incentivi statali e regionali, in Paesi nei quali i costi dei salari e quelli logistico-amministrativi sono più bassi, approfittando di una legislazione più permissiva in materia di tutela del lavoro, ambientale o di un ulteriore trattamento fiscale agevolato. Ragioni assimilabili, pur nelle dovute differenze, li abbiamo registrati nei casi di presidi produttivi che seguono, scientemente, chiusure forzate o guidate allo scopo di liberarsi di impegni finanziari precedenti non più in grado di essere sostenuti per ripartire, magari dopo una estrema ristrutturazione organizzativa e produttiva, come se nulla fosse accaduto a discapito dei malcapitati lavoratori rimasti fuori dall’assetto produttivo.
L’articolo 41 della Costituzione garantisce la libera iniziativa economica privata, ma chiarisce, altresì, al secondo comma, che essa “non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, ribadendo il dovere dello Stato, sancito dalla stessa Costituzione, di proteggere la dignità dei lavoratori.
Per questi motivi riteniamo urgente e improcrastinabile l’avvio di una discussione franca e onesta sullo stato di crisi dei settori produttivi siracusani, rappresentati in special modo da piccole e medie imprese con un bagaglio valoriale fatto di competenza, professionalità e presenza sul territorio.
Il caso GKN e la mobilitazione conseguente dimostra che la lotta nata con il lancio della proposta di legge sulle delocalizzazioni può rappresentare la possibilità, anche per altri territori, di misurarsi con l’elaborazione di un piano di reindustrializzazione dei siti produttivi che preveda la continuità occupazionale, ricostruendo un sistema di garanzie e di diritti, che restituisca centralità al lavoro e dignità ai lavoratori e al territorio. A Siracusa il processo di transizione energetica avrà inevitabilmente una ricaduta sul futuro del territorio, occorre costruire un laboratorio sociale, un’elaborazione capace ditenere insieme ambiente, lavoro e sicurezza garantendo sostenibilità ambientale e garanzia dei livelli occupazionali. Il ruolo dell’impresa nel processo di decarbonizzazione, le conseguenze di questi processi sull’occupazione e suilavoratori,l’impiego dei fondi europei, lanecessità di politiche e strategie ad hoc rappresentano oggi la sfida da superare perché per creare sviluppo occorre “immaginare” un nuovo modello di sviluppo. In mancanza di una vera strategia, senza un serio progetto di rilancio, di un cronoprogramma chiaro in un contesto fatto di enunciazioni e annunci ad effetto, il protocollo con cui si chiede l’istituzione “dell’area di crisi complessa”, rappresenta un azzardo, l’alibi per un disimpegno industriale che non giustifica l’enfasi e l’entusiasmo. In Sicilia abbiamo già pagato la politica dei due tempi, prima chiudo poi arriveranno gli investimenti, esperienze come Termini Imerese e Gela dovrebbero essere un monito. Costruire alleanze tra soggetti sociali è passaggio necessario in questo quadro, sta a noi trovare la composizione possibile …e allora il tema di oggi è quale blocco sociale saremo in grado di costruire per garantirci il futuro? Trovare le risposte non è semplice ma oggi siamo qui perché abbiamo ancora l’ambizione, spero insieme a tanti di voi, di realizzare con coerenza una grande utopia possibile, tenere insieme, sviluppo, lavoro, salute, ambiente, sicurezza e giustizia sociale.
Oggi non solo è arrivato il momento di riappropriarci del nostro futuro, ma occorre farlo partendodalle forze del lavoro: unite, solidali, di nuovo protagoniste.
È giunto il tempo di rimettere i diritti del lavoro al centro del dibattito politico.
Dalla crisi si esce con più lavoro e più diritti.
Firmato da:
Fiom-Cgil Siracusa, Sinistra Italiana federazione di Siracusa, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Comunista Italiano, Casa Rossa.