Atlante, mensile dell’Istituto geografico De Agostini, anno 1987, pag.50 “ Qui sta morendo il più bel barocco di Sicilia”, firma: Vittoria Alliata, scrittrice, giornalista, studiosa del mondo arabo, innamorata di Noto.
E’ un articolo, uno dei primi, forse addirittura il primo, che accende i riflettori sul “caso Noto”: C’è un lembo di Sicilia, più meridionale di Tunisi..questo l’incipit che è rimasto nella memoria di molti netini. Erano i tempi del sindaco Passarello, un preciso momento storico di svolta, in cui si rivolse l’appello agli organismi provinciali e regionali, al Ministero e all’Unesco, agli studiosi e agli esperti d’arte e beni culturali affinché si desse a Noto l’attenzione e le risorse economiche che meritava per avviare un progetto di restauro del centro storico.
Era emergenza. I palazzi crollavano e coraggiosamente Passarello decise di impacchettare il complesso monumentale del Centro. Noto diventò un cantiere e da allora, passando da altri eventi dolorosi ma topici, il terremoto del 1990, il crollo della cupola della Cattedrale nel 1996, Noto risorse.
Di quel posto sono restia a parlare. E’ il timore di spezzarne l’incanto, il silenzio, il segreto. E’ lo spettro di una notorietà più distruttiva dell’oblio, fatta di speculazione edilizia, inclusive tours, inquinamento. Unica, fra le città della Sicilia non ostentava il suo degrado, così come non aveva ostentato con arroganza i suoi fasti, Noto invecchiava con la consapevolezza che le rughe fanno parte del corredo dei saggi. Nè trucchi, né mode provvisorie, né pubblicità, cemento, schiamazzi o manifesti dissacravano la sua misteriosa armonia..
Così scriveva Vittoria Alliata, chiedendosi preoccupata se sarebbe bastato il miraggio di qualche miliardo, del potere e della notorietà, per suscitare appetiti, violenze e sperperi, intrighi e faide.
La paura era che Noto, cittadina dove non si ruba e non si uccide, non si abbandonano le campagne anche se impoverite, non si scende per le strade e non si trama a Palazzo, sarebbe potuta diventata una città come le altre, qualora, grazie alla notorietà e alla pubblicità, fosse diventata meta di un turismo predatorio e selvaggio, e nel suo centro fossero fiorite bancarelle di paccottiglia made in Taiwan, e sguaiate ballerine brasiliane.
Queste parole suonano oggi come un monito, una profezia, una realtà da scongiurare, la misura che non deve essere colmata. Ma questa misura oggi purtroppo rischia di essere colma.
Tanti anni sono passati da allora, la città nel frattempo è diventata sito Unesco, Le città tardobarocche del Val di Noto, il primo sito che si dotò, in Italia, di un Piano di Gestione che inquadra, soprattutto nel suo aggiornamento del 2005, temi e linee di indirizzo per uno sviluppo sostenibile ed integrato di tutte le sue risorse e che indica le strade per scongiurare anche lo spettro distruttivo di un turismo di massa, fenomeno definito “rischio turismo” . Il patrimonio culturale, materiale ed immateriale il cardine dello sviluppo e la sua conoscenza, tutela, promozione e valorizzazione le azioni che i gestori di tale patrimonio, cioè in primo luogo i Comuni, devono attuare per portare la comunità verso un ben-essere che sia equilibrato ed armonioso punto di convergenza fra tutti questi fattori. Ciò che è da evitare è lo sfruttamento del bene culturale, la sua banalizzazione. Perchè come un boomerang, la notorietà che viene da intelligenti azioni di citymarketing, ci ritornerà addosso se non è sostenuta dal rigore e dal rispetto dell’identità.
Rischio che oggi Noto, museo a cielo aperto, luogo dello spirito e dell’arte, ed il cui valore sta in una bellezza che abbiamo ereditato e che con le nostre azioni di comunità consapevole, dovremmo tramandare, sta correndo, minacciata dalla confusione, dall’eccesso di consumo commerciale, dalla illegalità diffusa, dalla sporcizia, dal baccano, dall’ignoranza, dall’indifferenza, dalla prevaricazione maleducata.
L’identità dei luoghi, la loro anima, storia e funzione, la memoria, la conoscenza, la gentilezza, il rispetto e la gratitudine umile verso il passato, valori che devono essere interpretati ed incarnati da noi netini del 2016, con forza e risolutezza per contrastare questo rischio.
Un rischio e che implica importanti assunzioni di responsabilità da parte della governance di una città come la nostra, in cui gli amministratori devono essere illuminati, sensibili, dotati di senso estetico – o disposti ad esserlo e a farsi guidare da chi per definizione sovrintende alla tutela e alla valorizzazione – .
Chi amministra perciò dovrebbe ascoltare e tenere in gran conto il parere degli architetti, degli storici dell’arte, dei restauratori, che con il concorso degli operatori della cultura e del turismo, degli artigiani, dalle associazioni e club UNESCO devono stimolare un dibattito e un confronto di idee, avendo l’importante ruolo di divulgare a tutte le altre forze economiche della città, un modello di sviluppo, con un’attenzione supplementare nella ricerca della qualità e del decoro, alla forma e alla sostanza di tutte le attività produttive.
L’attenzione alla tutela e alla conservazione del patrimonio, anche se non può condurre all’imbalsamazione della città e del territorio tutto, dovrà comunque fare riferimento a valori che sono stati posti alla base della visione della crescita futura e che deve essere condivisa dalle persone che in questi luoghi vivono e abitano. Quel processo di educazione e consapevolezza della comunità che oggi sembra sia sotto traccia, in ombra se non cancellato da una pulsione eccessiva verso il consenso politico che rende difficile dire di NO, che mina l’imparzialità e la regola, il suo rispetto.
Custodire la bellezza della nostra città non vuol dire quindi bloccare il commercio e le attività produttive che sono l’indotto economico direttamente collegato al Patrimonio Culturale.
Non vuol dire ingessare il territorio, musealizzare il centro storico, sottomettere il cittadino in difficoltà economiche ad una soggezione culturale ed estetica che sentirà come distante, come respingente. Non propria.
Custodire è un atto pedagogico prima che essere asseverato da qualunque norma. Un valore umano quindi una legge, una regola.
Il Centro storico di Noto, la sua core zone, attualmente sono letteralmente investiti dalla presenza di ambulanti, abusivi e non. Il suolo pubblico destinato alle attività di ristoro è occupato spesso in maniera sproporzionata rispetto all’ampiezza degli esercizi commerciali che richiedono la concessione per sistemare all’aperto i propri tavolini e sedie.
In pratica si può avere un buco in centro ed occupare il suolo pubblico in doppia misura, con un volume d’affari che non è più proporzionato alla grandezza del locale e/o all’eventuale affitto che il commerciante paga.
Il transito dagli scivoli dei marciapedi, per disabili o bambini in carrozzina, impedito dalla presenza di espositori, tazebao, arredi dei locali.
Le prospettive architettoniche, gli scorci, le facciate dei monumenti, quasi sempre interrotte e spezzate da tutto questo bailamme quasi sempre in plastica che rischia di trasformare in una street food il nostro museo a cielo aperto.
Con la Direttiva del 10 ottobre 2012 in Gazzetta Ufficiale n. 262 del 09/11/2012 “Esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale”, il Ministero dei Beni Culturali ha avviato un’azione di contrasto all’esercizio, nelle aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, di attività commerciali e artigianali, su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale.
La disposizione ministeriale, «che non è una legge», si precisa dal dicastero, dà indicazioni per contrastare maggiormente tutte le attività commerciali ambulanti e artigianali o su posteggio non compatibili con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, promosse dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Punto nodale della Direttiva firmata dal Ministro Ornaghi è dato dal fatto di voler colpire anche quei «posteggi, banchetti, strutture stabili o precarie di varia natura o tipologia» che pregiudicano la visuale di beni direttamente vincolati in quanto secondo il Ministro, è arrivato il momento di far rispettare il Codice Urbani e fornire, quindi, alle Soprintendenze, nonché indirettamente ai Comuni, le indicazioni tecnico-operative per valorizzare il patrimonio di cui l’Italia è ricca.
La Direttiva prevede innanzitutto di effettuare una prima ricognizione dei complessi monumentali e degli immobili del patrimonio culturale interessati da flussi turistici rilevanti, nelle cui adiacenze si svolgono attività commerciali su area pubblica. E ciò, al fine di valutare se sono state rispettate le prescrizioni poste e se le amministrazioni locali, nell’autorizzare il commercio su area pubblica, si sono attenute a quanto prescritto dall’art. 52 del Decreto Legislativo n. 42/2004 il quale stabilisce che “Con le deliberazioni previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio”.
Dal disposto normativo si evince che è competenza dei Comuni individuare le aree nelle quali vietare, o sottoporre a particolari condizioni, l’esercizio dell’attività, come pure reprimere il commercio non autorizzato.
Ma così NON E’!
Quindi le cose dovrebbero andare esattamente al contrario di come vanno adesso.
In via preliminare si dovrebbero individuare pertanto quelle aree o luoghi “vincolati” ( nel nostro caso davanti alle facciate dei monumenti, musei, chiese, edifici o complessi urbani a cui si riconosce valore storico) dove cioè non può essere consentito l’esercizio del commercio e quindi si dovrebbe concedere l’uso del suolo pubblico in maniera rigorosa, solo laddove non si arreca danno alla tutela del patrimonio culturale, alla sua fruizione. La percezione inalterata della sua identità la bussola che gli uffici preposti (non l’ufficio commercio ma l’ufficio Unesco!) dovrebbero seguire nel dare le concessioni.
La conferenza dei servizi per l’assegnazione del suolo pubblico dovrebbe fare perno su queste direttive piuttosto che sulle ragioni del commercio e del consumo.
Nessun consumo, nessun commercio, se non quello scadente, usa e getta, economicamente non rilevante, potrà avere un futuro se non si comprende che il nostro Bene più grande è l’Arte, la Storia e la Cultura.
Relativamente ai materiali degli arredi, bisogna purtroppo rilevare che il nostro Centro è diventato il regno della plastica quando invece nel regolamento, Linee di indirizzo sul Decoro Urbano approvato in Consiglio Comunale, un intero capitolo elenca quali materiali usare e ne argomenta benissimo la ragione. Il gestore del locale deve essere reso consapevole, consigliato, indirizzato, richiamato e quindi multato se non rispetta il regolamento.
Non è facile, è ovvio. Ma è fondamentale che in questo caso venga fatta prima di tutto un’operazione di tipo culturale, un breve ciclo di incontri formativi, a carico della Pubblica Amministrazione ( un progetto UNESCO i cui fondi speriamo siano a breve impegnati anche per azioni di questo tipo) in cui esperti spieghino soprattutto ai commercianti ( destinatari della formazione) che vendono gadget e souvenir, come sia nel loro stesso interesse, proporre ai turisti oggetti che parlano della città e del suo territorio: il Val di Noto.
Dagli arredi agli oggetti, secondo una linea di continuità estetica e concettuale è da ricercare un’armonia nei materiali, solo così si diventa veramente competitivi, veramente attraenti per chi ci visita. Il turista vuole sentire, toccare, emozionarsi per quella immagine autentica di Sicilia che si porta nell’immaginario e per cui è venuto. Vuole entrare dentro Noto anche attraverso un’essenza dell’Altopiano degli Iblei, un gusto, un libro..vuole portarsi a casa un oggetto di pietra che gli ricordi quella dei nostri balconi, vuole risentire una storia, vivere una piccola emozione anche in un paio di orecchini ispirati alla nostra tradizione religiosa o folkoristica.
Vuole comprare un oggetto fatto a mano, nato dalla creatività di un netino che non impieghi possibilmente la plastica, ma il giunco, il legno, la ceramica, il ferro battuto, la iuta.
Vuole una stoffa ricamata a mano e non una sintetica made in China o Taiwan..Non cerca la paccottiglia che ci fa somigliare a qualunque altro luogo del mondo.
Se il visitatore legge nei nostri occhi e vede nelle nostre mani l’amore e la cura per la nostra città, se ne innamorerà a sua volta, per sempre.
E vorrà ritornare, perchè qui sentirà che c’è un popolo che ha un cuore che batte per la propria terra. Abbiamo un’identità così ricca e vasta che dobbiamo solo metterci ogni tanto seduti come scolaretti e, con umiltà, conoscerla per rispettarla, farla conoscere, anche attraverso un gelato, un ventaglio, una sedia od un tavolino. Le cose, la materia, le forme e la sostanza, sono impregnate di vita, storia ed identità.
Ci auguriamo pertanto una sterzata lungimirante, una stagione di nuova consapevolezza e rigore, nella speranza che il proverbio riportato da Vittoria Alliata, Se vedete nespole piangete, perché queste sono l’ultimo frutto dell’estate, sia solo un monito, uno spettro che non faccia riposare sugli allori chi ha in mano la grande responsabilità del nostro futuro.
Cettina Raudino