Di chi è il patrimonio culturale di una città o di una nazione?
Chi subisce un danno se una cagnetta randagia partorisce i suoi cuccioli sulle tessere di un mosaico di una villa romana del IV secolo?
Hanno i cittadini il diritto di sentirsi defraudati, direttamente chiamati in causa dall’incuria e dal degrado, di denunciare e pretendere che ogni bene comune, soprattutto quello storico, ogni area archeologica, ogni chiesa, ogni via, ogni pietra, pezzo di selciato, mosaico, graffito segno del passato e traccia identitaria, siano tutelati e valorizzati come si recita nell’art. 9 della nostra Costituzione, o si enuncia ampiamente nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio?
La risposta alla prima domanda, chi subisce il danno, è : il cittadino, cioè io, tu, noi. Tutti noi subiamo un danno il cui valore è incalcolabile, non quantificabile.
Data l’unicità e l’irripetibilità di quel mosaico, che attraversando miracolosamente i secoli è sopravvissuto a ogni schiaffo del tempo, ci possiamo sentire danneggiati personalmente e collettivamente se chi di dovere e competenza, cioè la Soprintendenza ai Beni Culturali, la Regione, non mette in campo le necessarie azioni di tutela.
Abbiamo il diritto di pretendere? Si, si, mille volte SI.
Abbiamo il diritto a spiegazioni e alla ricerca di soluzioni. Si, mille volte SI!
Un danno al patrimonio culturale è un danno all’identità collettiva e all’economia di un territorio che vorrebbe, vuole, vivere di turismo culturale e naturalistico. E’ fin troppo evidente il nesso che lega la tutela di un bene, alla sua valorizzazione, fruizione e quindi all’indotto turistico.
Un attrattore culturale di grandissime potenzialità come la Villa Romana del Tellaro versa in condizioni pietose, da anni. E prospettare soluzioni pasticciate come il trasporto dei mosaici in altro sito, è una visione anacronistica e grossolana, poco rispettosa del bene stesso che privo del contesto di riferimento risulterebbe poco leggibile, mutilo, offeso ancora una volta.
Per ragioni che a noi cittadini possono anche risultare oscure o comunque inappropriate, data la gravità dello stato di fatto, data la imbarazzante voragine di incuria, è palese che la Soprintendenza non è in grado di presidiare e valorizzare adeguatamente. Da sempre la zona sud della provincia di Siracusa ha registrato carenze e abbandoni in questo ambito così strategico.
E allora?
E allora, nonostante non siano i cittadini a dover prospettare delle soluzioni, si può però suggerire di mettere a punto un nuovo modello di gestione delle aree archeologiche, una compagine che, oltre alla Soprintendenza, contempli la presenza attiva del Comune di Noto ( che in virtù di una convenzione già reinveste il 30% degli incassi per lavori di manutenzione e altre occorrenze straordinarie) e delle associazioni culturali e/o cooperative che al loro interno abbiano requisiti e competenze spendibili. Associazioni e cooperative reclutate con bandi di evidenza pubblica, trasparenti e aperti a tutti.
Cettina Raudino – Passione Civile