Eva Brugaletta –
È stato forse, arbitrariamente sfrattato dal chiosco in piazza che gestiva un piccolo imprenditore locale. Ha continuato a “mietere vittime” la costruzione di Piazza dell’Unità d’Italia, che, in primis, ha devastato due antiche piazze d’interesse storico. Poi, ha cagionato problemi nel deflusso delle acque piovane, causando allagamenti nel centro storico abitato. Ed ancora ha costretto alla chiusura, proprio per i lavori in corso, l’attività di Uccio Milana, collocata nel salotto cittadino, che, nonostante la crisi, resisteva produttivamente.
Milana, noto intellettuale ispicese e, soprattutto, proprietario del chiosco – bar, insieme con il fratello Alberto, incastonato nella superba e, oggi, distrutta piazza Maria José, rasa al suolo insieme a piazza Regina Margherita, racconta del «fallimento straordinario di un imprenditore sul lastrico, non per colpa della crisi, delle tasse, del calo dei consumi, ma per l’arroganza del potere costituito e per l’assenza del Diritto».
Milana, otto anni fa, ancora studente universitario, ha acquistato la licenza per la gestione del chiosco – bar in piazza Maria José, spinto dallo spirito di avventura che lo caratterizza e dalle parole di Pietro Nenni: “Le idee camminano con le gambe degli uomini”. Il chiosco prospera fino al 2010, anno in cui sono stati decisi i lavori di distruzione delle due piazze esistenti e la ricostruzione della nuova. «Da lì – spiega Milana – sono iniziate le assurdità. Sono stato convocato negli uffici del Comune, per concordare insieme agli amministratori la temporanea chiusura del chiosco e, soprattutto, la riapertura dell’attività alla fine dei lavori in piazza, stimati in sei mesi. Mi sono recato all’appuntamento in Comune e non trovo nessuno ad attendermi: un funzionario mi disse che non ne sapeva niente e che potevo andar via: mi faranno sapere. Nessuno, però, mi ha fatto mai sapere nulla, malgrado i miei ripetuti solleciti: quindi, io non sapevo se, come e quando avrei dovuto chiudere, e che ne sarebbe stato del chiosco. Decido di continuare comunque di tenere aperto il bar, anche se la piazza è transennata. E, invece, un giorno sono arrivati i vigili urbani, che mi hanno notificato tre denunce penali, appena depositate alla Procura della Repubblica da parte del Comune. Il chiosco, a loro avviso, sarebbe irregolare sotto diversi punti di vista. Pertanto, mi sono trovato costretto a chiudere. Chiudo l’attività, ma contesto la denuncia e reclamo i miei diritti. Nel frattempo, la piazza è stata demolita e con essa il mio chiosco e la mia fonte di sostentamento. Il sindaco Piero Rustico – continua Milana – a seguito del mio baccano e dell’avvicinarsi delle elezioni amministrative, mi affida in via del tutto temporanea il chiosco – bar di una piazzetta secondaria (mai fino a quel momento utilizzato). Mi dissero di stringere i denti per sei mesi, per poi tornare al chiosco, completamente rinnovato, nella nuova piazza. Ci fanno firmare dei documenti. Nel frattempo sono trascorsi tre anni e io mi trovo ancora a lavorare nel chioschetto della piazzetta secondaria, un luogo a dir poco malfamato. La piazzetta è teatro di episodi di malcostume e di violenza: più volte ho dovuto sedare risse e una volta, addirittura, alcuni personaggi loschi sono venuti a pestarsi dentro i quattro metri quadrati del chiosco, devastando ogni cosa, dalle bottiglie alla macchina del caffè. Ho dovuto persino ripulire il sangue, schizzato ovunque per via dell’inaudita violenza. Si può bene immaginare quanta (e quale) clientela io abbia adesso. I guadagni si sono azzerati e nessuna iniziativa culturale ha potuto attecchire in un posto come quello. In tre anni – aggiunge – la piazza è stata rifatta, è sorto un nuovo chiosco e il sindaco Rustico ha annunciato che, a breve, la nuova struttura – bar sarà riassegnata mediante bando pubblico. Le carte firmate? Le promesse? Lo “stringete i denti per sei mesi e tornerete al vostro posto”? Tutto falso. Ovviamente, sto portando avanti la mia battaglia legale nelle sedi opportune: mi è stata tolta con l’intimidazione una cosa che mi apparteneva e in cui avevo investito tutto; questa cosa non mi viene restituita, in un modo folle. La mia vicenda – conclude Milana – riguarda l’uso del potere pubblico».