C’è qualcosa di immorale nel ricatto imposto da Fiat e governo agli operai di Pomigliano: se vuoi lavorare rinuncia ai tuoi diritti, altrimenti si chiude, non ci sono alternative. Quindi, riduzione delle pause da 40 a 30 minuti giornalieri, aumento degli straordinari comandati da 40 a 120 ore a testa per anno, da fare anche durante la pausa mensa – peraltro spostata a fine turno-, deroga all’obbligo di riposo di almeno 11 ore tra un turno e l’altro, possibilità per l’azienda di non pagare la malattia al singolo lavoratore se l’assenteismo medio in fabbrica supera una certa soglia eccetera eccetera.
Si fa leva sullo stato di necessità, sulla paura della disoccupazione e sulla preoccupazione del futuro per dividere i lavoratori e demolire le basi della rappresentanza sindacale e della contrattazione collettiva.
Ora il ‘modello Pomigliano’ lo si vorrebbe estendere ovunque per cambiare i rapporti sociali in fabbrica e riscrivere le regole, dallo statuto dei lavoratori ai contratti nazionali allo stesso diritto di sciopero. La questione pone seri problemi sul piano costituzionale: è inaccettabile, in una Repubblica democratica fondata sul lavoro, mercanteggiare il posto di lavoro con la rinuncia ai diritti democratici.
Del resto anche la proposta di modifica costituzionale degli articoli 41 e 118 per liberalizzare l’iniziativa economica mira non tanto a superare i vincoli delle zavorre burocratiche (per questo non è necessario scomodare la Costituzione), quanto a garantire totale libertà d’azione alle imprese, in nome del profitto e a scapito del lavoro, della salute e dell’ambiente. Oggi è giusto e necessario stare apertamente dalla parte di quelli come la Fiom perché i silenzi, le ambiguità e i balbettii equivalgono alla complicità.
Lino Quartarone
Consigliere Regionale Arci Sicilia