la commediA DEGLI ERRORI: Un tempo di equivoci e quiproquo scandito da un invisibile metronomo vago ed inquietante.
programma:
20 dicembre 2012 h20:45 Teatro Tina Di Lorenzo Noto – P.zza XVI maggio, 1.
progetto e regia Lia Chiappara
con Santi Cicardo, Marcella Colaianni, Salvo Dolce,
Chiaraluce Fiorito, Francesco Gulizzi, Andrea Saitta, Giuseppe Sciascia
scene e costumi Lia Chiappara – realizzazione costumi Iole Rizzo
musiche Antonio Guida
luci Gianfranco Mancuso – video Pietro Vaglica
Nel registro delle uscite di bilancio della corte della regina Elisabetta I, alla data del 15 marzo 1595 figura il pagamento di 50 sterline a favore di William Kempe e Richard Burgage: sono i nomi dei capocomici della compagnia dei “Chamberlain Men”, “Gli uomini del lord Ciambellano di Casa Reale”, come si chiamavano gli attori della compagnia che recitava al “Theatre”, e della quale faceva parte Shakespeare. Quella somma era il compenso per due recite date dalla compagnia per conto della corte il 26 e il 28 dicembre 1594. In verità, la prima recita, del 26, si era tenuta a corte, presente la regina; la seconda, quella del 28, alla “Gray’s Inn” – una delle quattro famose scuole di legge di Londra – al termine di un veglione (“revel”) e come riempitivo di una notte rimasta famosa, come “la notte degli equivoci” (“The night of errors”), per la baldoria e la confusione alla quale si era abbandonata la nobiltà inglese intervenuta. Se questo epiteto avesse a che fare con il titolo della commedia che vi si recitò, non si sa; né v’è alcuna prova che il lavoro sia stato scritto da Shakespeare per quella occasione. Sta però che esso è il più breve di tutti i lavori teatrali di Shakespeare (appena 1770 righe tra versi e prosa) e sembra fatto apposta per essere una specie di riempitivo da concludere una notte di festino. Si tratta di un divertimento, tirato sulla falsariga dei “Menecmi” di Plauto, in cui la comicità della trama deriva dalle disavventure di un uomo che, alla ricerca di un suo fratello gemello da lungo tempo lontano, si trova ad esser coinvolto in una serie di equivoci, per essere scambiato per suo fratello perfino dalla moglie e dall’amante di questi. Shakespeare aggiunge alla confusione dei due fratelli, che chiama entrambi Antifolo (un nome preso in prestito, verosimilmente, da un personaggio dell’“Arcadia”, un romanzo epico-pastorale allegorico di sir Philip Sydney), un’altra confusione di persone, dando a ciascuno come servi due fratelli, anch’essi gemelli e anch’essi dello stesso nome (Dromio); non solo: ma attinge da un’altra commedia di Plauto, l’“Anfitrione”, la figura della moglie di uno dei fratelli Antifolo, Adriana, la quale chiude fuori di casa il marito, avendo dentro casa il di lui gemello, credendolo suo marito. Poi, per allontanarsi dal modello buffonesco plautino, dà un tocco di romanzesco all’azione scenica introducendovi a mo’ di cornice la vicenda del vecchio padre dei due gemelli che, giunto ad Efeso in cerca di loro, rischia la condanna a morte per via del conflitto esistente fra Efeso e Siracusa, se non trova qualcuno che ne paghi il riscatto: uno spunto basato sulla storia di Apollonio di Tiro, che Shakespeare conosce attraverso il racconto che ne aveva fatto il poeta John Gower alla fine del trecento, e che userà, molti anni più tardi, nel suo “Pericle principe di Tiro”.
Ufficio Stampa