La «pressione di chi rimane indietro» ci chiede di ricostruire circolarità aperte nella «convivialità delle differenze». La valenze civiche del giubileo della misericordia.
L’aumento delle povertà (la «pressione di chi rimane indietro») nel territorio della diocesi di Noto (comprendente i Comuni di Avola, Ispica, Modica, Noto, Pachino, Portopalo, Pozzallo, Rosolini, Scicli) resta costante, “standardizzata”, e riguarda sempre più italiani e fasce della classe media: lo confermano i dati raccolti nel 2015 su più di 5000 interventi dei 40 centri di aiuto delle parrocchie, i 200 percorsi di povertà complesse accompagnate dai 6 Centri di ascolto, gli interventi di housing collegati alle case di pronta accoglienza del Portico di Betsaida di Modica e alla Casa Valverde di Scicli. Sono povertà certo economiche, ma anche povertà legate a fragilità relazionali e a crisi familiari[1]. Anche il contesto sociale appare incapace di quella prossimità una volta assicurata dal vicinato, e tutto si aggrava per la mancanza di lavoro. Questi dati però, se letti con attenzione, dicono altro: dicono la necessità ed anche la possibilità di trovare vie puntando sulla relazione e sulla comunità come tessuto relazionale e luogo di cittadinanza attiva. Per questo la Caritas raccoglie i dati, guardando volti e ascoltando storie. E non si resta paralizzati … Perché il Vangelo non lo permette. Fermarsi rassegnati significa perdere tutti qualcosa, cadere nelle trappole dell’indifferenza. Diceva il poeta Pier Paolo Pasolini: «In un mondo che compra e che disprezza, il più colpevole sono io che mi paralizzo nell’amarezza»! Il dossier allora ricorda lo sforzo di questi anni per generare una rete di aiuti intelligente e appassionata: i Centri di aiuto ascoltano i bisogni e un sistema informatico permette di sapere se si è stati aiutati altrove, e questo per evitare furbizie o collaborare per le povertà più complesse. E non ci si limita a questo: un Centro di aiuto, rilevato un bisogno nei ragazzi legato al disagio scolastico, ha attivato un doposcuola; altri si sono organizzati per visite domiciliari che permettono aiuti più mirati e relazioni più vere. I Centri di ascolto hanno permesso di capire come in molte situazioni, dietro il bisogno espresso, c’è altro ed hanno elaborato delle prassi-modello per risposte più adeguate e tali da coinvolgere la comunità. Nell’housing si avverte come sia importante la relazione, intrecciando presa in carico e cammino educativo, perché non basta dare una casa, occorre aiutare ad abitarla come luogo di affetti e di relazioni nella città. Fino a scoprire risorse anche in chi viene aiutato e quanto diventi importante collaborare in rete, attivando sinergie tra servizi nella progettualità e riattivando vicinato. Ecco allora la convinzione forte – «la povertà è condizione storica: può cambiare, deve cambiare», abbandonare la logica assistenzialistica è indispensabile – e la proposta complessiva del dossier: riattiviamo comunità, ripensiamoci città con l’anima, accogliamo mettendoci il cuore. Ovvero collaboriamo a percorsi di presa in carico attenti ad ognuno, distribuendo le risorse con intelligenza (la proposta è quella del “reddito di inclusione sociale”) e con quel senso di “responsabilità sociale” che spinge ad interpellare tutti: chi aiuta e chi è aiutato («inserito così nel computo delle persone»), i cittadini e le istituzioni. Passando da un sistema assistenziale, ormai superato, che raccoglie e ridistribuisce le risorse che sono disposizione, ad uno che ri-genera e crea valore, mettendo al centro la persona. In questa direzione il Giubileo della misericordia e le Porte sante della misericordia nei luoghi di carità[2] diventano una possibilità, perché chiamano tutti a ritrovare sensibilità, una sensibilità forte capace di generare passi concreti.
Maurilio Assenza
Direttore della Caritas diocesana di Noto
- I dati statistici dei Centri di aiuto parrocchiali: «Non distogliere gli occhi dalla carne di tuo fratello» (Is 58,7)
a cura di Salvo Garofalo, referente Centri di aiuto
Lo scozzese Angus Deaton, premio nobel per l’economia nel 2015, ha dichiarato a proposito di povertà che “quello a cui stiamo assistendo è il risultato di centinaia di anni di sviluppo economico non equo, che ha lasciato indietro un’ampia fetta di mondo: chi è stato lasciato indietro vuole ora una vita migliore e il risultato è un’enorme pressione sui confini tra mondo povero e ricco”. L’analisi statistica dei dati che emergono dai centri di aiuto parrocchiali della diocesi di Noto evidenzia come stia proprio aumentando questa pressione di chi è stato “lasciato indietro” e chiede sostegno per uscire dalla situazione di povertà: rispetto all’anno precedente si è infatti sensibilmente allargata la forbice tra italiani poveri e stranieri poveri che prima era sostanzialmente in numero pari. Ora invece il numero di italiani poveri che si rivolge alle parrocchie si è addirittura quintuplicato rispetto alle persone straniere. Solo nelle città di Ispica e Modica il rapporto italiani/stranieri è nell’ordine di 2:1, mentre in tutte le altre città è ben oltre il rapporto di 5:1.
L’osservazione riguarda più di 5.000 persone che si sono rivolte ai 40 Centri di aiuto parrocchiali presenti negli 8 vicariati della diocesi di Noto. Queste persone sono stati censite nel periodo gennaio-novembre 2015 attraverso il software OSPOweb, che ha l’obiettivo di sostenere in maniera più efficace l’attività di raccolta dati relativa alle persone in difficoltà da parte delle Caritas diocesane. Il software OSPOweb fornisce una risposta on-line alle rinnovate esigenze operative dei Centri di aiuto e alle necessità organizzative del sistema nazionale di raccolta dei dati, rendendo disponibili i dati in ambiente web, soprattutto per favorire la loro utilizzazione in rete già all’interno della stessa diocesi. La disponibilità in rete del software consente inoltre l’allineamento immediato di tutte le persone all’ultima versione e la disponibilità immediata a diversi livelli dei dati raccolti (secondo modalità compatibili con la normativa sul trattamento dei dati personali). Ovvero se una persona, per esempio, si rivolge per chiedere aiuto a una parrocchia della Valle d’Aosta e una settimana dopo si rivolge a una parrocchia di Avola, il sistema lo segnala e questo evita duplicazioni di interventi e una più equa distribuzione degli aiuti a disposizione.
Sul versante pastorale questo rimanda alla preoccupazione che ogni povero sia preso in carico dalla parrocchia in cui territorialmente (o elettivamente) vive affinché si saldi sempre di più il legame tra Eucaristia e Carità, e l’aiuto materiale e contingente sia seguito e integrato dal sostegno relazionale e promozionale. Come dice papa Francesco infatti «il grande pericolo del cristiano consiste nel cadere nel paternalismo protettore, che in ultima analisi non aiuta i poveri a crescere: il cristiano ha invece il dovere di inserire i più poveri nella comunità e integrarli».
Tornando al nostro premio nobel, fra i suoi maggiori contributi c’è quello di avere analizzato lo sviluppo da un punto di vista dei consumi anziché del reddito: questo lo ha portato ad includere misurazioni come le calorie, le aspettative di vita, la salute e l’educazione. Insomma, sulla scorta dell’altro illustre nobel indiano Amartya Sen, la povertà non può più misurarsi soltanto con la carenza di reddito e di risorse materiali ma piuttosto con le componenti relazionali e qualitative della vita. A tal proposito si noti nei grafici sottostanti come, dopo i problemi economici e occupazionali, il bisogno riportato più frequentemente siano i problemi familiari, ovvero abbandoni, allontanamenti, conflittualità e maltrattamenti. Allo stesso modo la seconda richiesta delle persone che si rivolgono ai centri di aiuto, dopo i beni materiali, è l’ascolto.
Per questo il ragionamento va ormai costruito nell’ottica di un welfare generativo di legami sociali e di significato. Come ha detto il pedagogista e presidente di Welfare Italia, Johnny Dotti, nell’ultimo convegno delle Caritas diocesane di Sicilia: «Senza legami e senza senso non regge nessun welfare, ma ancor di più, non regge nessuna società di cui il welfare è un’interpretazione in termini solidaristici e conviviali. Secondo me, nessun soldo che non alimenta legami va speso. Andrebbero chiusi moltissimi servizi che prima di tutto, non servono proprio a niente, perché c’è piuttosto un meccanismo che non genera valore. Che siano fatti economici o che siano istituzionali pubbliche, non va messo nessun soldo e non va aperto nessun servizio se tu non guardi, o non vedi, o non sei certo che quello è un agente che alimenta, cura e moltiplica i legami. Ma questo lo dico anche in termini propri professionali: nessun problema moderno, dalle patologie della terza età, ai problemi della dipendenza, ai problemi della povertà materiale può star fuori dai legami. Semplifico molto: mamma con l’Alzheimer, tu puoi essere la persona più ricca di questo mondo, avere 5 mila euro al giorno, avere quattro infermiere, ma tu vai nel panico più totale se non hai intorno amici con cui condividere quella situazione. E ancora oltre: si è scoperto che moltissime delle questioni legate alle patologie degenerative sono patologie legate al rapporto tra emozioni, memoria, relazione, esperienze psico-emotive fatte con gli altri».
Da questa angolatura i Centri di aiuto parrocchiali per stessa definizione e ruolo sono, per così dire, “schiacciati” molto sugli interventi materiali nei confronti delle persone in difficoltà ed erogano in questo senso moltissimi aiuti: vestiario e viveri innanzitutto ma anche mobilio e apparecchiature sanitarie e ortopediche. Sono poi le Caritas parrocchiali a fare un lavoro di tessitura sociale e rilancio promozionale. Ma, nonostante questo, emerge come al secondo posto degli interventi effettuati risulta proprio l’ascolto delle persone, con continui tentativi di discernimento della situazione personale e familiare e progettazione di passi per la fuoriuscita dalla situazione di bisogno. È abbastanza interessante rilevare come in un quartiere ad alta densità popolare di Modica, un Centro di aiuto sia stato interpellato dalla richiesta di tante famiglie di provvedere a un doposcuola di recupero per i propri figli: un modo di orientare l’aiuto alla promozione oltre le emergenze materiali …
Su questo versante una pista di impegno per i prossimi mesi, è la quasi nulla contemporaneità negli interventi con la presa in carico delle istituzioni pubbliche: va sicuramente incrementato in tal senso il lavoro di rete con i servizi sociali e sanitari del territorio e con le agenzie che possono supportare le situazioni di disagio sociale. Il sistema di welfare italiano piuttosto ha subito importanti cambiamenti negli ultimi decenni con tagli alla spesa pubblica e una frammentazione del sistema di protezione sociale che rischia di farlo diventare sempre più “rudimentale” e poco “generativo”, con una moltiplicazione di attori non statali (sia profit che non-profit) che esercitano funzioni pubbliche, accompagnata da un forte decentramento di autorità a livello regionale e locale. Tutto questo in un bacino di povertà in cui la maggioranza è costituita da persone sposate con figli minorenni e con capofamiglia di età compresa tra 35 e 55 anni. Ci troviamo cioè in un momento di crisi della parte che potremmo definire “normale e standardizzata” della nostra immaginaria curva di Gauss della società attuale: diventato “scarti” coloro che per parametri di età, salute e condizione sociale finora costituivano invece i “produttori di ricchezza” delle società moderne.
Infine, in un contesto storico mondiale in cui i movimenti migratori dei popoli sono sfida e appello alla convivialità, non possiamo non dare uno sguardo specifico alla presenza straniera. Il nostro territorio continua a caratterizzarsi per una forte presenza di stranieri provenienti dall’Africa del nord: oltre il 50% di chi chiede aiuto viene da Marocco e Tunisia. A debita distanza con una percentuale vicina al 20% gli immigrati dell’est (in primis Romania e Albania). Ricordiamo comunque, a fini statistici, che queste sono le percentuali di chi chiede aiuto ed è abbastanza plausibile che l’immigrazione dall’est dell’Europa, essendo fortemente caratterizzata dal fenomeno del badantato, si rivolga in misura minore alle parrocchie per gli aiuti materiali, anche perché meno stanziale e spesso periodica.
Per i cristiani tutti questi non possono essere considerati solo dati statistici ma costituiscono degli interpelli alla “rel-azione”. Prima di tutto con una rinnovata consapevolezza all’interno delle stesse comunità ecclesiali ancora, ahimè, spesso assopite su un ruolo marginale del “gruppo Caritas” rispetto alla vita pastorale ordinaria di una parrocchia. Per questo i dati si fanno carne del fratello, come ci ricorda l’eredità ebraica del versetto di Isaia citato come sottotitolo del presente contributo.
Ebbe a dire l’allora cardinale Bergoglio in uno degli ultimi dialoghi con l’amico e rabbino argentino Abraham Skorka, prima di essere eletto al soglio pontificio: «Nel cristianesimo l’attitudine nei confronti della povertà e del povero è essenzialmente di autentico impegno; anzi l’impegno deve essere un corpo a corpo. Siamo obbligati a stabilire un contatto con il povero! Il primo intervento sulla povertà è di tipo assistenziale: Hai fame? Tieni, ecco qualcosa da mangiare. L’aiuto tuttavia non deve fermarsi qui, è necessario tracciare percorsi di sostegno e integrazione nella comunità. Il povero non può essere condannato all’emarginazione eterna: non è un atteggiamento cristiano! Invece è fondamentale inserirlo al più presto nelle nostre comunità in modo che possa emanciparsi …».
- I dati qualitativi dei Centri di ascolto: «Non posso aiutarti senza di te, perché con te posso aiutarti meglio»
a cura di Cristian Modica, referente dei Centri di ascolto
«Stare con gli ultimi significa prima di tutto prendere coscienza che i poveri esistono ancora e sono più numerosi di quel che si pensa. Significa condividere la loro povertà, aiutarli a crescere rendendoli protagonisti del loro riscatto, non destinatari inerti delle nostre strutture assistenziali» (don Tonino Bello).
«La povertà è una condizione storica: può cambiare – La trasformazione della povertà e delle politiche ci ricorda che si tratta di fenomeni determinati storicamente e dunque suscettibili di cambiamento. Se il sistema economico e la politica, principali responsabili dell’attuale condizione, assumeranno precise responsabilità e cambieranno i loro indirizzi, il numero di persone che vivono in povertà potrà diminuire». (Dopo la Crisi, Costruire il Welfare, Rapporto 2015 Caritas Italiana)
- Il tentativo è quello di costruire percorsi personalizzati e prassi modello
Nel periodo del 2015, nei Centri di ascolto della Caritas diocesana di Noto si è lavorato per la costruzione di una forte identità del Centro di ascolto collocato all’interno della rete di aiuto Caritas, quale luogo privilegiato di accompagnamento delle persone che ad esso si rivolgono. Si è cercato un raccordo tra le varie realtà vicariali cercando di intraprendere un cammino comune per l’aiuto che si cerca di dare. Diversi sono stati gli incontri nei vari Centri per confrontarsi sul come offrire un aiuto costruttivo. Interessante è vedere come nelle singole realtà si faccia ogni tentativo per dare un aiuto sempre nuovo e creativo, tenendo ben fissa l’idea che, offrire un immediato sostegno materiale, non è esaustivo se non si attiva la presa in carico e la costruzione di un percorso di personalizzato che renda la persona non un problema, ma una risorsa,e questa deve essere spronata a dare il meglio. Il cambio di mentalità richiede tempo e pazienza e i frutti si vedono solo a distanza di tempo. Già qualche mutamento si è registrato analizzando le circa 200 schede delle persone che sono state seguite nel biennio 2014- 2015 dai Centri di ascolto della diocesi di Noto. Si riscontra un tentativo sempre maggiore di costruire attorno alle persone una rete di aiuto che le possa sostenere, accompagnare e valorizzare. In questa strada viene vinta ogni tentazione di autoreferenzialità dei servizi. Non si tratta di ricercare aiuti materiali o economici, ma di mettere a frutto ogni possibile risorsa del capitale sociale che ciascuno porta con sé. Si va consolidando sempre di più la collaborazione con le Caritas parrocchiali che permette di svelare alle persone il volto della comunità cristiana capace di accogliere ognuno nelle proprie condizioni senza alcun pregiudizio. Intenso è anche il dialogo costruttivo che si cerca di rafforzare con i servizi pubblici presenti sul territorio perché siano stimolati a offrire quanto è giusto ai cittadini in stato di bisogno, permanente o emergenziale, secondo le esigenze di ciascuno.
Dalla lettura delle storie di vita emerge che chi si rivolge ai Centri di ascolto presenta bisogni di vario genere: dalla emergenza abitativa, alla difficoltà nell’affrontare la crisi economica, alla sempre più crescente crisi affettiva che porta a relazioni molto precarie e instabili; alla richiesta di lavoro si affianca l’incapacità nel mantenerlo dopo averlo trovato; altro bisogno, spesso non espresso, è la difficoltà nell’educazione dei figli. A partire da questi dati si sono registrati diverse situazioni che potremmo definire “prassi – modello” di presa in carico delle persone. Per cui si è verificato, per esempio, in un Centro d’ascolto vicariale che l’equipe ha voluto sperimentare di dare fiducia a un ex detenuto recidivo nel commettere furti e incapace, dopo una prima lettura superficiale, di mantenere la parola data; insieme all’aiuto dei servizi sociali si è cercato di costruire un percorso di reinserimento. I risultati sono stati positivi, con il suo impegno, non certo facile, nel mantenere gli accordi presi. Altro percorso positivo è stato quello sperimentato con una signora che presentava problemi economici; grazie alla dedizione dei volontari del centro si è scoperto altri problemi di natura psicologica e un rapporto simbiotico con la figlia adolescente che non permette a quest’ultima di potersi “staccare” dalla madre per sperimentare un percorso di autonomia. Grazie alla collaborazione con la scuola superiore, si sta cercando di programmare un suo inserimento che le permetterebbe di mettere a frutto le sue doti per la musica.
- La persona al centro del welfare generativo
Viene chiamato in causa – costruendo “prassi modello” – il welfare. Negli ultimi 40/50 anni centrale è stato il connubio tra benessere sociale e servizi, prestazioni e soldi. Le trasformazioni che la società ha subito negli ultimi tempi (tra cui la crisi da cui a fatica si cerca di uscire) hanno imposto un ripensamento di questa logica che ha portato al collasso e alla creazione di un sistema sociale che, come ricorda papa Francesco, produce «strutturalmente scarto». Oggi si è legati a un sistema di Welfare state risalente agli anni ’70 in cui la moneta viene trasformata in servizi universalistici che hanno il compito di garantire alla gente un migliore accesso alla tutela della salute, ai servizi della persona. Abbandonare la logica assistenzialistica è indispensabile per la costruzione e la valorizzazione delle risorse della persona che si trova in uno stato di bisogno: questo è quanto sostiene la Fondazione Zancan nel suo annuale Rapporto alla povertà. Nell’ultima edizione (Welfare Generativo. Responsabilizzare, rendere, rigenerare), presentata a Malosco (TN) lo scorso Luglio, si sostiene che il welfare generativo è una catena all’interno della quale la persona riceve l’aiuto ma allo stesso tempo è chiamata a dare aiuto mettendo qualcosa a disposizione della comunità. Da questo circolo virtuoso emerge che i diritti sociali diventano un motore moltiplicativo delle risorse. Rigenerare: significa fare “rendere” le risorse non in senso economico, ma in termini di esiti positivi sulla persona che si sente valorizzata, fondamentale e necessaria per il suo riscatto. Si esce dall’idea non distribuzione indifferenziata di risorse economiche. Questo permette altre conseguenze: infatti, nel momento che la persona è chiamata a compartecipare è più probabile che l’efficacia dell’intervento dia frutti maggiori. Nella sintassi del welfare generativo quando si parla di “responsabilità sociale”, ci si rivolge a tutti, non solo a una parte della società. In tale maniera i più poveri vengono inseriti nel computo delle persone e non vengono trattati come destinatari di risorse. Giancarlo Rovati, docente di Sociologia alla Cattolica di Milano, afferma: «La sussidiarietà, non è una categoria mediana che interessa la cooperazione intermedia, ma è nativa in ogni persona riconoscendone capacità sussidiarie: questo è quanto chiede la Costituzione italiana».
- Attivare la comunità e mettere il cuore
Dall’analisi delle schede dei vari Centri di ascolto è emerso che per accompagnare le persone è fondamentale la partecipazione dei vari ambiti della Caritas locale. Se una persona presenta difficoltà economiche o lavorative occorre attivare la Caritas parrocchiale perché si faccia carico dell’emergenza, attraverso la collaborazione del centro di aiuto. È emersa in tutti i vicariati l’esigenza che la persona che chiede aiuto sia orientata nel superare le difficoltà spesso considerate insormontabili. Si è presentato il caso di una donna che non riusciva a comprendere che la vicinanza al marito violento le causava ulteriori problemi. Dopo vari colloqui di sostegno e di confronto la donna in questione ha avuto la forza di prendere le distanze dal partner. Nel centro di ascolto è continuo il tentativo di attuare la funzione pedagogica della Caritas. Tante, a volte troppe, sembrano le difficoltà. Ma questo non ci distoglie dalla passione legata alla chiamata per quello che cerchiamo di fare. Il servizio è faticoso ed è legato alla sensibilità umana dei volontari, intrisa di Vangelo quale fonte primaria di ciò che si fa. Lavorare in collaborazione con le parrocchie è fondamentale per poter tessere la rete che permette di accompagnare, orientare e stare accanto alle persone in difficoltà. Il lavoro insieme aiuta e sostiene quanto si fa nei singoli centri vicariali.
La missione che si impone a questo importante servizio della Caritas è quello di far scoprire un volto della Chiesa che cerca di farsi prossima alle persone in forma sempre nuova e concreta con la consapevolezza che «il compito principale della Caritas non è solamente quello di fornire una risposta materiale ai bisogni […] la Caritas grazie al suo radicamento territoriale, si fa promotrice di una logica di promozione e accompagnamento delle persone in difficoltà. In questo senso supera il concetto di assistenzialismo, promuovendo lo stile dell’accoglienza, dell’ascolto e della condivisione».[3]
- Housing: ripartire, ri-generare. Fondamentale la comunità!
a cura dei referenti housing Antonluca Candiano, Giuseppe Puccia, Martina Spadola
Da tre anni si va sviluppando una rete di pronta accoglienza. Il Portico di Betsaida di Modica, infatti, è al suo terzo anno. Essa è costituita da Casa Don Diana a Modica Sorda e da Casa Anna Polara a Modica Bassa. Negli ultimi mesi si è aggiunta una casa messa a disposizione gratuitamente per sette anni da una famiglia di una parrocchia modicana. Casa Don Peppe Diana è di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Ragusa, ed è stata messa a disposizione dal Comune di Modica, poi ristrutturata grazie ad offerte raccolte nel vicariato di Modica ottenute diminuendo le spese di intrattenimento esteriore nelle feste religiose. In essa sono state accolte 13 persone, tra cui un nucleo familiare extracomunitario di sei persone per un anno, una singola persona italiana proveniente da un altro comune per dieci mesi. Attualmente vi sono accolti un nucleo familiare di origine tunisina di quattro persone da circa un anno e mezzo, e due persone singole italiane da dieci e dodici mesi. In Casa Anna Polara, in via Pozzo Barone, sono stati accolti in totale tre nuclei: i primi due costituiti da due persone, l’ultimo da tre, con percorsi di accoglienza brevi e collegamenti educativi assicurati dalla Casa Don Puglisi, attraverso i quali è stato possibile un reinserimento sociale degli stessi. Il nucleo tuttora accolto, è stato accompagnato in questi mesi attraverso una presa in carico attenta alle esigenze di ogni singolo membro e del nucleo intero, per rispondere ai bisogni di una famiglia che ha necessità di ritrovare lo slancio e la sicurezza necessarie per affrontare un nuovo momento del loro percorso di vita. La casa “donata” dalla famiglia di Modica permette di ospitare due nuclei familiari. Due mesi fa ha fatto il suo ingresso il primo nucleo composto da quattro persone. Anche in questo caso ognuna è portatrice della propria fragilità ma anche di risorse importanti, come il coraggio di una madre e l’allegria contagiosa del sorriso dei suoi figli. Quest’anno vi è stata poi a Scicli l’apertura di Casa Valverde a Scicli, una grande casa che è stata pensata fin dall’inizio per accogliere il disagio abitativo nelle sue diversità: non soltanto famiglie con bambini ma anche persone singole con varie difficoltà. Casa Valverde al momento accoglie due famiglie composte ognuna da quattro persone: mamma, papà e due bambini. Queste famiglie vivono al secondo piano, dove è presente anche la cucina, la sala da pranzo e la sala comune. Più giù al piano ammezzato, dove possono essere accolte persone singole, stanno iniziando i lavori per creare anche lì una cucina, in modo che ognuno possa mettersi maggiormente in gioco in autonomia, e ricostruire il proprio senso di casa. Attualmente Casa Valverde accoglie due famiglie in difficoltà, una italiana e una di origine albanese.
La prima volta che siamo entrati abbiamo sentito la polvere, il silenzio, spazi grandi e abbandonati che chiedevano di essere riportati all’antica operosità. Da quel giorno Casa Valverde man mano si è fatta più chiassosa, tre suore che assicurano una presenza vigilante vanno in giro e sono sempre a disposizione di tutti, e dalla porta di una delle stanze lungo il corridoio spunta un faccino a pochi centimetri da terra. È forte il messaggio che arriva al petto davanti a questa immagine appena giungiamo al corridoio: un ambiente enorme, alto, con mura possenti, può ancora accogliere e far giocare una piccola creatura di due anni. In questi giorni il corridoio e la sala comune sono diventati “più piccoli”. È, infatti, iniziato il cantiere educativo “La fontana del villaggio”, e adesso c’è davvero chiasso. Si tratta di un luogo dove i bambini possono essere accompagnati nel percorso di studi, e fare attività e laboratori mettendosi in gioco in prima persona, aiutandosi reciprocamente. Ci sono in corso lavori giù al cortile, e appena finiranno avremo anche quell’area. Il cortile è molto bello poiché è uno spazio ampio ma chiuso, con del verde, un bagno, e due ambienti coperti. Casa e cantieri si trovano in uno dei quartieri più antichi e popolari di Scicli, in mezzo a grappoli di case, proprio dentro la città. È stata quindi recuperata una identità sentita, dentro la comunità, che adesso si rifà segno concreto di presenza attiva verso il prossimo. Casa Valverde inoltre diventa un nodo importante nella rete dei partner che, a vari livelli, si occupano tutti del tema ampio dell’abitare: attraverso una presa in carico da parte dei comuni della diocesi tramite i servizi sociali e con l’apporto del Centro di ascolto e il Vicario foraneo di Scicli, i Centri di ascolto dei comuni del territorio della diocesi, la rete di case per la pronta accoglienza del “Portico di Betsaida” a Modica e, sempre a Modica, la “Casa Don Puglisi” e l’Associazione “We Care”.
Le segnalazioni delle varie situazioni di difficoltà giungono, oramai da prassi, dai servizi sociali e dal Centro di ascolto: questo permette uno scambio continuo e una presa in carico comune. Comune anche nel senso proprio del termine: è infatti la comunità tutta ad essere chiamata ad una attenzione partecipe al problema dell’abitare, come ha fatto la famiglia modicana che ha risposto donando una propria casa, perché questa potesse accogliere persone che non sono in grado di sostenere un affitto che sta raggiungendo livelli insostenibili per molte famiglie. Sempre attraverso una concreta sinergia tra le varie comunità cristiane si è raggiunta la sensibilità della gente, che ha risposto sviluppando una vivace e premurosa rete di aiuto. Grazie a quanto le persone hanno voluto mettere in comune è stato possibile ricevere quanto necessario per fare di questa abitazione una delle case. Sono stati ricevuti, infatti, mobili e suppellettili, e tutto quanto possa essere necessario all’arredamento e alla vita quotidiana delle persone che la abitano.
Ripartire è ri-generare
C’è ancora tanto da fare. Ogni persona è un universo da conoscere e far risplendere, come gli occhi di P. quando è entrata per la prima volta a casa. E c’è la quotidianità, la difficoltà a trovare un lavoro, gli affitti a volte insostenibili. Le situazioni che quotidianamente richiedono attenzione e accompagnamento dicono che ogni persona ha bisogno di una casa in cui poter ritrovare un proprio spazio intimo, ma poi anche l’affetto, la vicinanza, l’attenzione e l’aiuto adeguato per poter ripartire in autonomia e riscattarsi da situazioni di frequente croniche e destabilizzanti. Spesso le persone accolte vengono da storie di vita molto complesse, che rendono difficile un immediato reinserimento relazionale e lavorativo nella società. Ci accorgiamo che le parole più usate sono volte al negativo, alla rinuncia, a volte alla negazione di cattive abitudini: trasformare il senso di queste parole può avvenire solamente attraverso un incontro autentico, dove non si fanno sconti e si cerca di affrontare la realtà, ma cercando di farlo con dolcezza, pazienza, speranza. C’è allora l’urgenza di trovare nel territorio risposte concrete ed efficaci che possano ridare fiducia e speranza alle persone che vivono una condizione di difficoltà abitativa, anche quando questa piomba d’improvviso, ad esempio per tutte quelle persone che si trovano in uscita da situazioni di dipendenza o dopo periodi di detenzione, rigenerando competenze e responsabilità spesso da loro dimenticate, in modo da costruire una fitta rete di opportunità da offrire a chi ha voglia di ripartire.
Lo slancio per una nuova gestione del settore sociale italiano potrà venire dai cambiamenti attualmente in atto nel nostro Paese. Un’azione importante in questo campo è la costituzione dell’Alleanza contro la povertà da parte di 33 organizzazioni quali soggetti fondatori (tra cui Caritas italiana e Fio.PSD). Obiettivo prioritario è la proposta di introduzione del Reddito di Inclusione Sociale (REIS) come misura a sostegno e supporto alle situazioni di maggiore criticità. Il REIS si caratterizza perché prevede la combinazione di contributo economico e servizi alla persona volti a fornire supporto ma anche, e soprattutto, a coinvolgere attivamente i beneficiari. Anche il modello dell’Housing Firstva in questa direzione, proponendo autonomia e responsabilità, mette al centro le scelte di vita della persona che viene accolta. Ad ispirare la progettualità di iniziative volte al contrasto della povertà è una nuova concezione di welfare: il welfare generativo, ispirato ai principi della solidarietà da esercitare a livello sociale, ma anche politico ed economico; responsabilità che ciascuno deve assumersi per la realizzazione del bene comune, della uguaglianza, del riconoscimento della dignità di ciascuno nella costitutiva ed inevitabile differenza. Il welfare generativo, pertanto, concepisce la persona, non come un problema a cui far fronte, ma come una risorsa da poter attivare. Responsabilizzare gli stessi beneficiari delle misure di politica sociale ed economica significa far diventare il welfare sempre più “nostro”, passando da un sistema ormai superato che raccoglie e ridistribuisce le risorse a disposizione, ad uno che ri-genera e crea valore, mettendo al centro la persona.
Solo così è possibile interrompere il percorso disumano dell’economia nazionale e mondiale, sorde al grido delle tante sofferenze dell’uomo. Invertendo questa rotta sarà possibile riscoprire il senso intimo delle relazioni, il valore dell’impegno comune e collaborativo nella costruzione di un mondo più giusto e ospitale, accogliendo e facendo nostre le parole di Papa Francesco1: «Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma una parola è molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi».
PASSI DI PROSSIMITÀ
Dalle considerazioni fatte da chi mi ha preceduto, emerge in modo costante, la fame dell’uomo di oggi di relazioni belle, autentiche e feconde. Leggo la necessità di legami, non come qualcosa che ci impigli nella rete dell’assistenzialismo, ma legami come relazioni avvolgenti che ci fanno avvertire prima del bisogno da soddisfare il calore umano, l’appartenenza. Nel volto del prossimo – afferma Levinas – riluce una presenza altra.
La grande sfida che, come comunità parrocchiali e cittadini siamo chiamati a cogliere è quella dell’alleanza con tutti coloro che amano le nostre città e desiderano avviare percorsi virtuosi. Se volessimo scattare una foto alle nostre città, senza scadere in un facile quanto sterile pessimismo, c’è – più che farsi cadere le braccia – la necessità di un serio rimboccarsi le maniche per lavorare in sinergia al servizio dell’uomo, soprattutto quell’uomo disorientato e ferito dalla sofferenza. La parrocchia è chiamata ad essere presenza profetica nel territorio dove è posta, vivendo la prossimità, la solidarietà e la gratuità nelle relazioni, proponendo stili di vita evangelici contro la logica delle deleghe facili, contro la mentalità diffusa di chi pretende tutto dalle istituzioni, di chi ha sposato l’indifferenza o, peggio ancora, la rassegnazione del «tanto non cambierà mai nulla». Percorsi virtuosi che potremmo chiamare generativi, per la capacità di uscire dalla logica del servizio (sportello) per entrare nella logica del «tu mi interessi mi stai a cuore». Solo attraverso questo salto di qualità sarà possibile la condivisione degli spazi, del tempo, delle risorse e delle abitazioni. Ma come comunità cristiane sarà bene ritornare ad essere profezia, che significa rincorriamo i giovani smarriti di cuore e di senso additando l’unica via sicura che è quella del dono di sé, del sacrificio nello studio e nel lavoro, della condivisione, delle competenze. Offriamo pure il pane, ma senza dimenticare l’accoglienza. Organizziamo la carità, ma non dimentichiamo l’ingrediente più importante che è l’amore per l’uomo. Doniamo pure i viveri, ma non dimentichiamo il sale della tenerezza. Passiamo dalla sottocultura dell’assistenza alla promozione di una nuova cultura di umanesimo bello, che gioisce quando l’uomo ritorna a vivere e a camminare con i suoi piedi e la sua intelligenza. Ritorniamo a scorgere la presenza di Dio in ogni uomo e donna del nostro tempo, consapevoli che l’uomo disorientato non sbaglia per cattiveria ma per confusione. Ritorniamo ad essere comunità aperte! L’apertura è quell’avventura umana affascinante della responsabilità per l’altro, è l’approssimarsi dell’altro uomo davanti al quale rimango esposto, gli offro la guancia, pronto ad espiare e a sostituirmi. Dio lo si riconosce in questa dimensione di fedeltà al Bene che mi mette in cammino verso il prossimo. In questo saremo sempre più simili al nostro Dio che non ha disdegnato il suo camminare per farsi prossimo all’umanità (Incarnazione).
Don Paolo Catinello, assistente Caritas diocesana e direttore di Migrantes
1Dal discorso di Papa Francesco all’incontro mondiale del 28.10.14 con i movimenti popolari.
[1] Solo nelle città di Ispica e Modica il rapporto italiani/stranieri è nell’ordine di 2:1, mentre in tutte le altre città è ben oltre il rapporto di 5:1. dopo i problemi economici e occupazionali, il bisogno riportato più frequentemente riguarda i problemi familiari, ovvero abbandoni, allontanamenti, conflittualità e maltrattamenti. La seconda richiesta delle persone che si rivolgono ai Centri di aiuto, dopo i beni materiali, è l’ascolto. L’età di chi chiede aiuto è prevalentemente tra i 35 e 55 anni. Forte è la presenza di stranieri provenienti dall’Africa del nord: oltre il 50% viene da Marocco e Tunisia. A debita distanza con una percentuale vicina al 20% gli immigrati dell’est (in primis Romania e Albania).
[2] Porte sante come quelle del Boccone del Povero di Modica, delle Camilliane di Ispica, del Convento del Rosario di Scicli fanno pensare a tanta dedizione nascosta delle religiose e propongono gesti semplici di visita agli anziani e di attenzione ai bambini. Segni di carità come la Mensa San Vincenzo de’ Paoli di Avola rimandano al prolungamento della mensa eucaristica che dovrebbe accadere anche nelle case. La Porta santa che si apre al Centro Agape di Pachino (rimando ai Piccoli fratelli di Modica, a Shalom di Scicli, ai Superabili di Avola) diventa proposta di percorsi di cammino comune con i diversamente abili. Cammino che si fa Casa, Casa che accoglie per una città che cresce se si metta “ai piedi dei bambini”, è il rimando della Porta santa della Casa don Puglisi di Modica, mentre la Casa Tobia di Noto offre vie di misericordia nella semplicità dei piccoli del Vangelo che la abitano. Sulla città si apre lo sguardo della misericordia con la Porta santa del cantiere educativo “La fontana del villaggio” di Pozzallo per ritrovarne l’anima come amava dire Giorgio La Pira.
[3] Caritas Italiana, Famiglie sospese, quaderno di riflessione teologico- pastorale sulla famiglia in difficoltà nell’Italia delle false partenze, Roma 2014.